Il caso
Scala, caccia al socio privato
«Servono fondi per il teatro»
La scelta di Podestà e l'urgenza delle nomine. Il valzer dei consiglieri. Polemiche per l'uscita di Micheli dal cda. «Un errore»
Roberto Bolle e Svetlana Zakharova (Ansa)
La caccia al nuovo socio privato (o soci, se la Provincia si
sfila, ma tra oggi e domani si saprà), i fondi, lo statuto, i sindacati
divisi, il contratto nazionale, il bilancio. E, soprattutto, i
consiglieri di amministrazione. Quelli nuovi e quelli vecchi, quelli da
rinnovare e quelli lasciati a casa (non senza polemiche, soprattutto in
merito alla sostituzione di Francesco Micheli). Scala, si apre un'altra
settimana difficile per il teatro più importante del mondo. Primo
appuntamento e prima questione: il ruolo di Palazzo Isimbardi come socio
fondatore dell'istituzione e «super contribuente» da tre milioni di
euro all'anno. Già nei giorni scorsi il presidente Guido Podestà aveva
confermato l'impegno a rimanere nel board scaligero «fermo restando il
patto di stabilità e i problemi di bilancio». Tradotto: restiamo se ci
sono i soldi. Nel giro di 48 ore - mancano un passaggio tecnico e uno
politico - dovrebbe sciogliersi il nodo, ma ieri Podestà sembrava
(leggermente) più possibilista del solito: «Siamo consapevoli
dell'importanza culturale del Teatro alla Scala, vero biglietto da
visita di Milano e dell'Italia nel mondo. Siamo in fase di revisione di
un bilancio non facile. Ma sono ottimista nel ritenere di poter dare una
soluzione tra lunedì e martedì».
Attesa. E speranza. Tutti si
augurano che la Provincia confermi il suo impegno. Anche perché, in caso
contrario, sarebbero due i soci fondatori (con capitale base da sei
milioni di euro) da trovare. Già per uno la ricerca è cominciata da un
pezzo. Tra i nomi che girano, quello della Mapei di Giorgio Squinzi,
presidente di Confindustria. O di Tod's e Telefonica, entrati alla Scala
l'anno scorso. E anche in questo caso - preziosa la regia del
vicepresidente della Fondazione, Bruno Ermolli - entro domenica dovrebbe
arrivare una soluzione.Capitolo consiglieri. Il giro di valzer in cda è già cominciato con le due nomine del ministro Lorenzo Ornaghi (l'imprenditrice Margherita Zambon e il vicedirettore amministrativo della Cattolica Alessandro Tuzzi) e si attende la riconferma di Giovanni Bazoli (Fondazione Cariplo), Paolo Scaroni (Eni), Aldo Poli (Banca del Monte di Lombardia) e Fiorenzo Tagliabue (Regione). Ma proprio sui nuovi nomi indicati dal ministero - e in particolare sulla sostituzione di Francesco Micheli - nel weekend si è scatenata la polemica. Da una parte i «micheliani», dall'altra gli «ornaghiani».
La prima a rimpiangere Micheli è Giulia Maria Crespi, presidente onorario del Fai: «Uomo di grandissima competenza artistica e culturale. Ho come l'impressione che alcune nomine nel cda replichino esattamente quello che succedeva in passato». Riferimento neanche troppo velato allo spoil system . «In effetti - fa sapere Carlo Secchi profondo conoscitore della Scala - davamo tutti per scontata una riconferma di Micheli, visto l'ottimo lavoro che ha dimostrato di saper fare. Evidentemente il ministro ha una sua visione strategica che va rispettata». Mal di pancia nella Milano della musica, dell'arte, dell'economia. Anche se sono in molti a difendere Ornaghi «per la ventata di aria fresca che ha portato alla Scala e per l'ottimo lavoro sulla città». Doppia visione. E da Firenze arriva il commento del maestro Zubin Mehta, protagonista del Maggio musicale: «Stimo molto il dottor Micheli come grande mecenate delle arti».
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