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venerdì 29 gennaio 2016

Nomina Direttore del Ballo

COMUNICATO STAMPA

Sulla scelta del nuovo Direttore del Ballo del Teatro alla Scala, pur consapevoli che la decisione spetta al Sovrintendente e alla Direzione, siamo rammaricati di non averla potuta condividere, almeno con una comunicazione, nonostante sia dal mese di novembre che chiediamo notizie in merito.

La scelta di un coreografo come direttore del ballo rappresenta una rottura con la storia del teatro.
Sappiamo che la Direzione ha incontrato più volte il corpo di ballo, ma ugualmente auspichiamo che questa innovazionè sia stata valutata con attenzione, sia con il corpo di ballo, sia con tutta la struttura artistica del reparto.
Certamente si è puntato su un nome di tutto rispetto (col "valore aggiunto" dell'italianitá), ma contestualmente riteniamo vi siano delle incognite, per ciò che attiene il repertorio storico scaligero.
Nel ribadire che la Direzione non ha condiviso con le OO.SS. alcuna valutazione artistica/organizzativa, crediamo urgente avere chiarezza sul futuro organizzativo/artistico del corpo di ballo del Teatro alla Scala.

Paola Bentivegna - Segretaria SLC Cgil
Giuseppe Veneziano - Segretario Uilcom Uil

martedì 19 gennaio 2016

allarme Arena di Verona!

E’ ormai da 5 giorni che il nostro Segretario Generale della SLC-CGIL di Verona ha iniziato lo sciopero della fame come estremo tentativo di provocare un avvio di confronto con i soggetti interessati dalla vertenza del Teatro “Arena di Verona”. Come sempre, ognuno può fare le proprie valutazioni sulle forme che si intendono adottare per sostenere le proprie ragioni. Per quanto mi riguarda intendo affermare che la scelta di Paolo Seghi è pienamente responsabile, maturata nel tempo a fronte dell’incapacità e dell’assenza di volontà di aprire il confronto da parte dei vertici del Teatro e dell’Amministrazione locale veronese. Avviene dopo mesi di mobilitazione, di scioperi, di iniziative pubbliche, di spettacoli offerti gratuitamente alla città, di un presidio che dura da parecchie settimane. La vicenda del Teatro Arena di Verona è, purtroppo, solo l’ultimo, in ordine di tempo, di una lunga serie di episodi che hanno riguardato le nostre più importanti istituzioni culturali e che hanno un unico comun denominatore: l’incapacità della politica, a tutti i livelli, di prendere atto dello straordinario patrimonio artistico rappresentato dai nostri Teatri: patrimonio che questo Paese ha avuto la fortuna di avere in eredità da chi ci ha preceduto e che sembra totalmente incapace di lasciare in eredità alle generazioni future. Nel mondo larga parte della cultura musicale classica parla la lingua del melodramma italiano e la storia musicale italiana è la sintesi perfetta di quanto di meglio il nostro Paese abbia offerto al mondo. Questa straordinaria tradizione rischia di essere travolta da una politica miope, ignorante e provinciale, incapace di guardare oltre il proprio naso e che si accontenta dei fasti della “Prima della Scala” senza avere la benché minima idea circa il fatto che le eccellenze culturali sono il frutto di un tessuto ampio, radicato nell’intero territorio nazionale che affonda nei secoli le proprie radici.
I teatri sono i “luoghi” che “identificano” le nostre città: non è forse l’Arena il simbolo conosciuto nel mondo della città di Verona? I nostri teatri non sono musei: sono centri di produzione che si avvalgono di professionalità eccellenti, tecniche e artistiche; sono la combinazione ineguagliabile e irripetibile di produzione industriale e artigianale; sono l’incontro tra il genio e la tecnica che trova nel teatro la combinazione perfetta.
Per questo Paolo Seghi ha deciso la forma più estrema nel tentativo di produrre quello che persone normali avrebbero già dovuto fare da tempo: confrontarsi e trovare assieme le migliori soluzioni possibili.
Lavoreremo assieme perché prevalga la ragione e l’intelligenza e perché nessuno debba più essere messo nelle condizioni di giungere a scelte estreme.
Massimo Cestaro Segretario Generale SLC-CGIL

allarme Arena di Verona!

E’ ormai da 5 giorni che il nostro Segretario Generale della SLC-CGIL di Verona ha iniziato lo sciopero della fame come estremo tentativo di provocare un avvio di confronto con i soggetti interessati dalla vertenza del Teatro “Arena di Verona”. Come sempre, ognuno può fare le proprie valutazioni sulle forme che si intendono adottare per sostenere le proprie ragioni. Per quanto mi riguarda intendo affermare che la scelta di Paolo Seghi è pienamente responsabile, maturata nel tempo a fronte dell’incapacità e dell’assenza di volontà di aprire il confronto da parte dei vertici del Teatro e dell’Amministrazione locale veronese. Avviene dopo mesi di mobilitazione, di scioperi, di iniziative pubbliche, di spettacoli offerti gratuitamente alla città, di un presidio che dura da parecchie settimane. La vicenda del Teatro Arena di Verona è, purtroppo, solo l’ultimo, in ordine di tempo, di una lunga serie di episodi che hanno riguardato le nostre più importanti istituzioni culturali e che hanno un unico comun denominatore: l’incapacità della politica, a tutti i livelli, di prendere atto dello straordinario patrimonio artistico rappresentato dai nostri Teatri: patrimonio che questo Paese ha avuto la fortuna di avere in eredità da chi ci ha preceduto e che sembra totalmente incapace di lasciare in eredità alle generazioni future. Nel mondo larga parte della cultura musicale classica parla la lingua del melodramma italiano e la storia musicale italiana è la sintesi perfetta di quanto di meglio il nostro Paese abbia offerto al mondo. Questa straordinaria tradizione rischia di essere travolta da una politica miope, ignorante e provinciale, incapace di guardare oltre il proprio naso e che si accontenta dei fasti della “Prima della Scala” senza avere la benché minima idea circa il fatto che le eccellenze culturali sono il frutto di un tessuto ampio, radicato nell’intero territorio nazionale che affonda nei secoli le proprie radici.
I teatri sono i “luoghi” che “identificano” le nostre città: non è forse l’Arena il simbolo conosciuto nel mondo della città di Verona? I nostri teatri non sono musei: sono centri di produzione che si avvalgono di professionalità eccellenti, tecniche e artistiche; sono la combinazione ineguagliabile e irripetibile di produzione industriale e artigianale; sono l’incontro tra il genio e la tecnica che trova nel teatro la combinazione perfetta.
Per questo Paolo Seghi ha deciso la forma più estrema nel tentativo di produrre quello che persone normali avrebbero già dovuto fare da tempo: confrontarsi e trovare assieme le migliori soluzioni possibili.
Lavoreremo assieme perché prevalga la ragione e l’intelligenza e perché nessuno debba più essere messo nelle condizioni di giungere a scelte estreme.
Massimo Cestaro Segretario Generale SLC-CGIL

mercoledì 13 gennaio 2016

Così si andrà in pensione nel 2016

Con lo slittamento del capitolo sulla flessibilità in uscita dal 1° gennaio del prossimo anno si dovrà lavorare 4 mesi in più. Per le donne l’incremento sarà di quasi di due anni.
Con il rinvio della flessibilità in uscita dal prossimo anno si dovrà lavorare di più. Ben 4 mesi in più, a causa dell’aspettativa di vita. E dal 2019 si dovrà mettere in conto un ulteriore scatto che attualmente, secondo lo scenario demografico dell’Istat, sarà di nuovo pari a 4 o 5 mesi. Poche le novità contenute nella legge di stabilità che in realtà rispondono più che altro a questioni emergenziali piuttosto che ad un disegno organico di revisione della Legge Fornero da molti richiesto. Vediamo dunque di riassumere i cambiamenti in arrivo dal 1° gennaio 2016.
P. Anticipata. Dal prossimo anno, e sino al 2018, i requisiti contributi per la pensione anticipata salgono a 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi di contributi per donne pari, rispettivamente, a 2227 settimane e a 2175 settimane di versamenti (per coloro che hanno la contribuzione espressa in settimane). Si potrà continuare ad uscire indipendentemente dall’età anagrafica, cioè anche prima dei 62 anni, senza incorrere nella penalizzazione dato che, grazie alla legge 190/2014, è stata congelata sino al 2017.
Vecchiaia. Per la pensione di vecchiaia, fermo restando il minimo di 20 anni di contributi (15 anni per i lavoratori cd. quindicenni), i requisiti restano differenti per le donne del settore privato rispetto agli uomini e alle donne del settore pubblico. Gli uomini, dipendenti o lavoratori autonomi, dovranno raggiungere i 66 anni e 7 mesi di età. Lo stesso requisito è fissato per le donne del pubblico impiego. Per le lavoratrici del settore privato l’aumento sarà piu’ elevato in quanto l’effetto della speranza di vita si cumula con il graduale innalzamento dell’età per la vecchiaia che, entro il 2018, dovrà assicurare la totale parificazione con i requisiti vigenti per gli uomini. Per le dipendenti del settore privato serviranno quindi 65 anni e 7 mesi (contro i 63 anni e 9 mesi attuali), per le autonome 66 anni e un mese (contro i 64 anni e 9 mesi attuali).
L’unica novità è per le donne che vedranno allungarsi di un anno la possibilità di accesso all’opzione donna: con la legge di stabilità 2016 il Governo consentirà a quelle lavoratrici che hanno raggiunto i 57 anni e 3 mesi di età (58 anni e 3 mesi le autonome) entro il 31 dicembre 2015 di optare per la pensione contributiva anche se la decorrenza del trattamento avverrà successivamente al 2015 (restano infatti in vigore per questa forma di pensionamento le finestre mobili di 12 o 18 mesi). Ma a parte questa novità che potrà interessare alcune migliaia di lavoratrici il canale di uscita si chiuderà comunque il 31 dicembre 2015 salvo residuino risorse per  una proroga del regime. C’è poi la settima salvaguardia anch’essa prevista con la legge di stabilità che consentirà a 26.300 lavoratori di prepensionarsi rispetto alle regole Fornero.
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Usuranti. Novità anche per i lavori usuranti. Com’è noto nei loro confronti si applica ancora il previgente sistema delle quote di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243. Ebbene dal 2016 dovranno perfezionare 61 anni e 7 mesi di età anagrafica con il contestuale raggiungimento del quorum 97,6 con un minimo di 35 anni di contributi. Anche se per la liquidazione del primo rateo dovranno attendere sempre uno slittamento di 12 mesi per via delle cd. finestre mobili. Va peggio per i notturni con un numero di notti lavorate inferiore a 77 anni: dovranno perfezionare 62 anni e 7 mesi di età unitamente ad un quorum pari a 98,6; mentre se il numero di notti lavorate è invece ricompreso tra 64 e 71 il requisito da raggiungere diventa 63 anni e 7 mesi ed il quorum passa a quota 99,6.
Lo slittamento di 4 mesi influenzerà anche la data di ingresso alla pensione per il comparto difesa e sicurezza e per i comparti per i quali sono attualmente previsti requisiti previdenziali diversi da quelli vigenti nell’AGO, appena esposti (si pensi ad esempio agli ex-enpals e agli autoferrotranvieri). Naturalmente sono soggetti agli adeguamenti anche i lavoratori cd. salvaguardati che, sempre con la legge di stabilita’ guadagnano la settima salvaguardia in favore di altri 26.300 soggetti, ma in tal caso la normativa da prendere a riferimento, sulla quale applicare i 4 mesi di slittamento, sarà quella ante-fornero. Anche il requisito anagrafico per conseguire l’assegno sociale slitterà da 65 anni e 3 mesi a 65 anni e 7 mesi.

Nuovo Statuto, tutto pronto per il lancio


 Iniziano il 18 gennaio le assemblee per il varo della proposta di legge d'iniziativa popolare. Baseotto (Cgil): “Non vogliamo rincorrere il passato, ma ricostruire un diritto del lavoro che negli ultimi anni è stato strapazzato da interventi legislativi" È ormai tutto pronto per il lancio del “nuovo Statuto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori” messo a punto dalla Cgil. Una riforma complessiva del diritto del lavoro, approvata dal Direttivo della confederazione, su cui dal 18 gennaio saranno chiamati a discutere e votare tutti i lavoratori italiani, in vista della formulazione di una proposta di legge d’iniziativa popolare. “Non vogliamo rincorrere il passato – spiega il segretario confederale Nino Baseotto all’agenzia Ansa – ma ricostruire un diritto del lavoro che negli ultimi anni è stato strapazzato da interventi legislativi che non hanno tutelato la parte più debole”. Tra gli aspetti più rilevanti si segnala il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare ingiusto anche nelle aziende con meno di 15 dipendenti. Un ripristino e un allargamento, dunque, di quanto era previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, cancellato dal Jobs Act con il decreto sul contratto a tutele crescenti per i nuovi assunti. Dal reintegro automatico in caso di licenziamento senza giusta causa saranno escluse solo le aziende con meno di cinque addetti, per le quali il giudice potrà decidere se comminare il reintegro o un risarcimento. Riguardo i licenziamenti con motivo “economico”, se considerati illegittimi saranno sanzionati con un risarcimento collegato alla retribuzione. “La nostra proposta è di oltre 90 articoli, la tutela sui licenziamenti è solo una parte” spiega Baseotto: “La cosa più importante è la sfera di applicazione della proposta. Riguarda tutto il lavoro, non solo quello dipendente, ma anche quello parasubordinato e autonomo”. La Cgil propone anche di rafforzare la tutela processuale cancellando il contributo unificato (per chi intraprende una causa di lavoro), di rendere accessibile a tutti la giustizia del lavoro e di “ripristinare il ruolo del giudice nella valutazione della proporzionalità della sanzione”. Obiettivo della Cgil, si legge nel volantino che sarà distribuito nelle assemblee che partiranno il 18 gennaio, è innovare gli strumenti contrattuali“preservando quei diritti fondamentali riconosciuti senza distinzione a tutti perché inderogabili e universali”. Diritti che vanno dal compenso “equo e proporzionato” alla “libertà di espressione”, dal diritto alla sicurezza al diritto al riposo, ma anche alle pari opportunità e all’apprendimento permanente. Per giungere, appunto, al principio fondamentale di giustizia nel lavoro: “se un licenziamento è illegittimo, la sanzione per l’impresa deve avere un effetto ‘deterrente’, cioè scoraggiare comportamenti scorretti a danno dei lavoratori”.